La strada delle gallerie è stata costruita nel 1917, fra febbraio e dicembre, per servire il fronte del Pasubio. Ne fu protagonista la 33ª compagnia minatori (integrata in seguito da altre squadre), dopo che al suo comandante, il tenente Giuseppe Zappa, venne dato l’incarico di valutarne la fattibilità.

La compagnia si trovava in quel momento impegnata in lavori di fortificazione sul crinale di Monte Alba, a poca distanza da Bocchetta Campiglia da dove doveva partire la strada. Era fine gennaio, nel pieno di uno degli inverni più freddi e nevosi del secolo: sul Pasubio, che la compagnia vedeva giusto davanti a sé, c’erano metri e metri di neve. La strada avrebbe dovuto affrontarlo inerpicandosi fra i roccioni impervi e apparentemente inaccessibili della Bella Laita per poi arrivare, seguendo un percorso nascosto alle artiglierie nemiche, passando per Forni Alti e il passo di Fontana d’Oro, a Porte del Pasubio. Non c’era in partenza un progetto, ma solo un’indicazione di massima, perché «data la natura rocciosa e frastagliata del terreno, di cui non c’erano carte o rilievi, non era possibile stabilire preventivamente un tracciato».

Zappa accettò l’incarico e – scrisse il sottotenente Cassina, uno degli ufficiali protagonisti dell’impresa – «decise di innalzarsi man mano ma anche di condurre avanti contemporaneamente un sentiero, che permettesse di studiare il tracciato ulteriore della strada. Lo scopo principale che ci proponemmo innanzitutto – continua Cassina –, fu quello di raggiungere la cresta della parete rocciosa che s’elevava a picco, di fronte a Bocchetta Campiglia. Poi, avremmo deciso il da farsi. Infatti noi sapevamo di dover raggiungere Forni Alti e il Passo di Fontana d’Oro, ma non avevamo la minima idea del come avremmo potuto arrivarci, perché la Bella Laita, che bisognava attraversare, era inaccessibile.»

È così che inizia l’epopea della costruzione della strada delle gallerie. Richiederà a tutti, ma in particolar modo agli ufficiali, un coinvolgimento profondo. Sarà per loro al tempo stesso un’impresa e un’avventura, del fare, dell’osare, della giovinezza. Lo si avverte a ogni pagina della “memoria” del tenente Cassina, scritta appena finita la guerra, che fa da filo conduttore della mostra. Il senso dell’ignoto davanti, dell’esplorazione, dell’interrogare la montagna per cercare il passaggio, la sfida a trovare ogni volta la soluzione per forzarlo con una strada. Ma anche la consapevolezza orgogliosa di essere diventati via via una squadra, che ha saputo darsi un metodo di lavoro forte, fondato sulla divisione e al tempo stesso condivisione dei compiti.

Quando ad aprile, con il Pasubio ancora coperto di neve, il tenente Zappa riceverà l’ordine di trasferimento ad altro incarico, il cantiere della strada era già arrivato all’altezza della tredicesima galleria: alla sua uscita, su uno sperone a strapiombo sul vuoto, era stata piantata la stazione di arrivo del primo ramo di teleferica a mano. Nello stesso tempo il sentiero di esplorazione era arrivato molto più in alto, fin sotto la parete al cui interno sarebbero salite a spirale la diciannovesima e la ventesima galleria, le più lunghe e ardite: poco a lato si stava attrezzando un campo base avanzato.

Scriverà Cassina: «Partiva il maestro. Ma ormai eravamo divenuti esperti; la strada ci aveva sedotti, e aveva sedotto anche i graduati e i soldati. Ricordo ancora con commozione l’impegno preso fra noi ufficiali, riuniti nella sala della mensa di Bocchetta Campiglia la sera dopo la sua partenza. Non sapevamo chi sarebbe venuto a sostituirlo e temevamo di essere distolti dalla nostra costruzione ».

Sarà il capitano Picone (sono quasi un destino i nomi di questi due comandanti) a sostituire il tenente Zappa e a portare a termine la strada. Con altrettanta appassionata energia e coinvolgimento.

La strada è lunga 6300 metri: 2300 sono in galleria, i restanti scavati nella roccia a mezza costa. Parte da una quota di 1216 metri e termina a 1928 metri, per un dislivello complessivo, contando i saliscendi dell’ultimo tratto, di 784 metri. È considerata un capolavoro di ingegneria militare.

La sua costruzione, iniziata il 29 gennaio con l’invio di un primo plotone di venti uomini, arrivò a impiegare, con lo sciogliersi della neve e poi sopratutto l’estate, seicento uomini. Erano allora contemporaneamente in uso almeno quaranta martelli perforatori ad aria compressa, la cui distribuzione, mediante una rete di grosse tubazioni provenienti da una centrale di produzione costruita ai piedi della montagna, copriva l’intero percorso.

Nei dieci mesi dei lavori la 33ª compagnia ebbe quattro morti.